Wonder: la recensione del nuovo film di Stephen Chbosky

La recensione di Wonder, il nuovo film di Stephen Chbosky, autore di “Noi siamo infinito”, con Julia Roberts e Owen Wilson.

La trama

August Pullman, detto Auggie, è nato con una malattia rara, ragion per cui ha subito ventisette interventi per poter respirare, parlare e mangiare, oltre a vari interventi di chirurgia estetica. Dopo aver trascorso i suoi primi dieci anni di vita sognando lo spazio tra un casco d’astronauta e Star Wars, la madre, interpretata da Julia Roberts, decide che è ora che Auggie conduca una vita “normale”, iscrivendolo a una scuola pubblica.

Una storia con più punti di vista

Dopo “Noi siamo infinito”, Stephen Chbosky torna al cinema con la rivisitazione del già celebre romanzo omonimo di R. J. Palacio, inno alla diversità come simbolo di unicità e speranza di fratellanza. Anche in questo caso la malattia è simbolo di isolamento, tuttavia non di protezione vitale. Auggie, difatti, ha tutte le carte in regola per poter essere un bambino come gli altri, ma, come ci insegna la vita di tutti i giorni, ben poche persone accetterebbero d’aver vicino qualcuno con un aspetto “fuori dal comune”. La situazione diviene ancora più difficile quando Auggie si ritrova catapultato in prima media in una scuola pubblica, senza la protezione costante dei genitori e senza poter indossare il suo amato casco d’astronauta che gli dà la possibilità di passare inosservato, così da divenire oggetto di derisione e bullismo.

Per quanto Auggie sia la chiave della storia, Chbosky non vuole mostrarci semplicemente il primo anno di scuola media del bambino, bensì ciò che provano le persone che fanno parte della sua vita. Perché Auggie, nonostante tutto, capisce subito come cavarsela da solo, e lo fa con un’ironia fuori dagli schemi e meritevole di lodi. È così che una semplice storia diviene allora, attraverso vari capitoli, un insieme di storie e di vite, ognuna unica nella sua diversità. Ma, soprattutto, ogni diramazione vuol portare a uno stesso significato: nessuno è davvero normale.

“Gli strani” nel cinema

Non è di certo la prima volta che il cinema vuol farci amare personaggi apparentemente “strani”, o che comunque vuol farci capire come la stranezza appartenga, in diversi modi e manifestazioni, a ognuno di noi. In questo caso Auggie stesso cita il suo amato Chewbacca, vera e propria mascotte di Star Wars, ma gli esempi potrebbero essere infiniti, da gran parte della filmografia di Tim Burton (basti pensare a Edward mani di forbice), a Freaks di Tod Browning, per non citare gli innumerevoli film e serie tv con personaggi etichettati come “nerd” (tra questi, i più amati negli ultimi due anni sono sicuramente i protagonisti di Stranger Things, la celebre serie tv targata Netflix dei Duffer Brothers).

Wonder  come film di formazione

Wonder, allora, non si può che aggiungere efficientemente a questo filone, con il merito di aver portato in scena un’egregia interpretazione da parte degli attori più giovani (Jacob Tremblay in primis), così come degli adulti (probabilmente una delle migliori interpretazioni di Julia Roberts). Ma, ancora più importante, è il messaggio che, nonostante le considerazioni trite e ritrite, Wonder vuole lasciare: il nostro modo di affrontare la vita è dettato dal nostro modo di guardare il mondo. Messaggio che Chbosky, oscurando quasi totalmente l’estetica per dar spazio allo scandagliamento psicologico dei personaggi, mostra aver compreso in pieno, firmando un film che arriva nel cuore di tutti ed educa durante la visione e nella visione di ciò che ci circonda. Wonder riesce in quel che molti film non riescono più a fare, ovvero a essere un vero e proprio racconto di formazione, pedagogia pura mista a sano intrattenimento.

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