Una serie di sfortunati eventi – Seconda Stagione: Poveri Baudelaire

Se avete fatto la sciocchezza di leggere la prima recensione, vi preghiamo di non commettere lo stesso errore leggendo anche la seconda. Tutto ciò potrebbe nuocere gravemente alla vostra salute. 

Vi abbiamo già parlato di Una serie di sfortunati eventi con la recensione sulla prima stagione della serie prodotta da Netflix. Conclusa anche la seconda stagione, possiamo iniziare a fare un resoconto con questa recensione.

Trama

I fratelli Baudelaire, dopo essere stati lasciati in un collegio, avendo perso l’ultimo vero legame familiare, cercano di giostrarsi affinché la loro sopravvivenza possa essere delle migliori. Il tutto, però, diventa più complicato a causa dell’inevitabile mano del conte Olaf e dei suoi scagnozzi. Fra ospedali, circhi, villaggi strampalati e incontri inaspettati, i tre orfani devono fuggire di volta in volta e districare la matassa che lega l’onnipresente simbolo dell’occhio alla loro vita. Riusciranno i Baudelaire a trovare il loro posto nel mondo?

V.F.

La trafila di informazioni che riescono a ottenere porta i Baudelaire allo stremo, spingendo anche lo spettatore a porsi molte più domande rispetto al passato. Cosa si scopre? Forse, qualche legame in più, ma le verità restano ancora tutte celate dall’onnipresenza scenica del conte Olaf. Il simbolo, però, altamente rappresentato qua e là nella serie, inizia ad avere un suo significato e una sua interpretazione: V.F. (tradotto dall’inglese V.F.D.).

Le interpretazioni dei personaggi sono altisonanti: nessun attore sottotono, tutti posti sullo stesso livello, a creare un cast e una storia di tutto rilievo. Bellissima la collaborazione fra gli orfani Baudelaire e i “trigemini” Pantano, che dà quel tocco di “romanticismo” all’intera storia. Spicca, come sempre, l’interpretazione di Neil Patrick Harris con il suo meraviglioso conte Olaf e tutte le sue assurde messe in scena. Senza di lui, lo show perderebbe di spessore e non poco.

La storia è quanto più fedele ai libri da cui è tratta, in particolar modo quando parla dell’Ascensore Ansiogeno. Tutto funziona alla perfezione! Chi ha amato la prima stagione amerà ancora di più la seconda, visto l’amplificarsi di tutte le caratteristiche essenziali che l’hanno contraddistinta nei suoi primi passi.

Ciò che distanzia la seconda stagione dalla prima è la presenza di un maggior numero di personaggi; i Baudelaire non hanno più a che fare con stereotipi di personaggi, ma si scontrano, come già anticipato minimamente nella prima stagione (durante gli eventi della Sinistra Segheria), con un gruppo di persone che di volta in volta rappresenta un campione di quella che è la società media in ogni contesto.
Ogni mini-arco narrativo vuole mostrare e smuovere alla riflessione con la sua ilarità e dark humor: dal riso suscitato dall’essere orfani, all’ignorare l’incredibile quantità di notizie che ci circondano, archiviate qua e là per il mondo. Si potrebbe riassumere più o meno così il concetto: abbiamo tutti gli occhi, ma non tutti li utilizziamo per osservare, limitandoci solo a guardare.

E così, sono, ancora una volta, i dettagli a farla da padrone in tutti gli episodi della serie. Ogni caratteristica è fondamentale, così come ogni singolo elemento. Spiccano richiami e citazioni di ogni tipo. Sicuramente noterete (soprattutto se lo visionate in lingua originale) il richiamo alle Spice Girl, in una delle puntate dell’Atroce Accademia, oppure il richiamo al film Shining durante l’arco narrativo dell’Ospedale Ostile. Tutto è costruito a opera d’arte!
La fredda crudeltà, i sentimenti appena accennati, costruiscono una storia che rende esplicita la realtà dei fatti lasciando un senso di vuoto, evitando molto spesso anche di far metabolizzare le varie morti che si hanno all’interno della storia.

Cosa aspettarsi a questo punto dalla terza stagione? Di certo una conclusione di quanto fin ora narrato, con un livello narrativo sicuramente all’altezza, vista la riuscita di entrambe le stagioni.

Lascia un commento