Recensione Sense8 – Prima Stagione – Un viaggio sensoriale

La trama 

Sense8 è la storia di otto persone, sparse per il mondo, che, a un certo punto della loro vita, vengono riunite in un cluster. Esse, infatti, hanno sempre vissuto la loro esistenza individualmente; tuttavia, non sono mai state davvero sole. Dalla loro “nascita sensoriale”, allora, cominceranno a scoprire il loro vero “io”, tra sentimenti e stati d’animo strettamente legati. Tra visite e condivisioni che cambieranno, inevitabilmente, il corso della loro esistenza. 

Non sono di certo i primi o gli unici ad aver ricevuto questo “dono”. Sin da subito, però, si comprende come i nostri nuovi nascituri non avranno vita facile. Un certo Whispers, infatti, li sta cercando, e farà di tutto per trovarli. 

Un viaggio sensoriale  

Non è la prima volta che Andy e Lana Wachowski decidono di affrontare il tema della “connessione”. Tuttavia, passando dal cult Matrix, per andare verso Cloud AtlasJupiter Ascending, esso è stato sviscerato attraverso punti di vista ben differenti. Nel caso di Sense8, ci troviamo di fronte all’astrazione totale del concetto. Il legame che rappresenta i protagonisti non ha limite alcuno. È qualcosa che li accomuna al di là del loro carattere, del loro vissuto, delle loro scelte.  

Forse è proprio per questo motivo che non si riesce subito ad amare la serie tv, dovendo superare le prime tre puntate per entrare a far parte, da spettatore, del cluster.  Non ci troviamo di fronte, come è stato erroneamente affermato da alcuni, al nuovo Heroes; non ci sono superpoteri. Almeno, non come li intendiamo solitamente. Il vero potere dei protagonisti di Sense8, infatti, è l’essere estremamente umani, fino allo sfinimento, così da lasciarci, alla fine di ogni episodio, senza forze. La dinamicità con cui si passa, non solo in un luogo o in una linea temporale differente (per questo la serie è sicuramente debitrice di Lost), ma, soprattutto, da uno stato d’animo all’altro, è disarmante. Ci si ritrova su delle montagne russe senza fine, dalle quali si vorrebbe scendere per stanchezza mentale, ma si prosegue vinti dalla curiosità. 

 

Il problema della sceneggiatura 

Per quanto Sense8 appaia dinamico per i motivi sopra citati, in realtà la trama è in sé molto semplice. Per questo motivo, la narrazione si mostra a volte fin troppo lenta, portandoci, dopo aver finito l’ultimo episodio, a comprendere che, effettivamente, ciò che è successo è davvero poco rispetto alle ore di visione trascorse. L’azione non manca, soprattutto grazie ai personaggi come Sun (Bae Doona) e Wolfgang (Max Riemelt). Tuttavia, si tratta di azione fine a sé stessa, utile per risolvere un ostacolo momentaneo. Quando manca l’azione, invece, la sceneggiatura lascia a desiderare, servendosi spesso di frasi “filosofeggianti” fuori luogo o di citazionismo. È pur vero, comunque, che i personaggi mostrano una notevole crescita interiore nel corso delle puntate, e ciò viene dimostrato dal loro modo di agire e di relazionarsi con il resto della cerchia. Si spera quindi che, nel corso del tempo, anche il linguaggio possa essere modellato al meglio su ognuno. 

Coinvolgimento visivo e uditivo

La vista è sicuramente ciò che attrae di più i fratelli Wachowski, e ce lo fanno capire attraverso paesaggi onirici come i monti innevati scandinavi e i templi indiani. L’estetica è curata in maniera maniacale, dando libero sfogo alla bellezza e all’arte nella sua concezione classica; non mancano, ovviamente, scene di nudo. 

Per quanto la musica sia importante per personaggi come Riley (Tuppence Middleton), l’opening di Johnny Klimek & Tom Tykwer non è particolarmente travolgente. Tuttavia, è giusto sottolineare come alcuni brani abbiano un ruolo centrale durante gli episodi. Primo fra tutti, “What’s Up” dei 4 Non Blondes (scena, per di più, ripresa da “Wise Up” di Magnolia del grande Paul Thomas Anderson). 

Non ci resta, allora, che continuare a seguire le vicende della nostra cerchia. 

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