SuperQuack: Ready Player One – Come i videogiochi influenzano le nostre vite

Ready Player One, l’ultimo capolavoro del regista Steven Spielberg, è ormai nelle sale cinematografiche da alcune settimane. Il film è ambientato in un futuro distopico al quale fanno da sfondo interi quartieri in rovina. In Ready Player One le falle della realtà vengono colmate dal mondo virtuale di OASIS: il protagonista si rifugia in OASIS per sfuggire dall’insoddisfazione che la realtà circostante e fa del mondo virtuale la sua realtà.
Durante la visione del film è facile porsi un interrogativo: in che modo i videogiochi possono influenzare le nostre vite?

Il dibattito sui videogiochi

Il mondo dei videogiochi è da sempre motivo di dibattito. Molte persone vedono in essi un valido metodo di intrattenimento, ma altrettante sostengono che essi siano in parte responsabili del crescente isolamento dei giovani e che vi sia addirittura una correlazione tra videogiochi e violenza. Tutte queste ipotesi hanno spinto gli esperti ad analizzare il comportamento dei videogiocatori per mettere in luce i vantaggi e gli svantaggi che derivano rispettivamente dall’uso e dell’abuso dei videogiochi.

Tra intrattenimento e apprendimento

Dagli studi effettuati risulta che i videogiochi, oltre ad essere divertenti, sono utili a sviluppare diverse capacità mentali, quali il senso di orientamento, la coordinazione mano-occhi e la creatività. Inoltre, essi possono essere utili a sviluppare il problem solving, poiché mettono il giocatore in condizione di trovare stratagemmi per risolvere questioni attraverso tentativi ed errori.

Alcuni videogiochi permettono di relazionarsi con altre persone, spesso di lingue e culture differenti e pertanto permettono di sentirsi parte di un gruppo e al contempo di stuzzicare una sana competitività.

Negare completamente l’uso dei videogiochi potrebbe essere controproducente. Con il passare del tempo, i videogiochi stanno diventando un ottimo modo per avvicinare i giovani a una sempre più avanzata tecnologia, parte integrante della vita degli adulti.

A questo proposito, è interessante vedere come in alcuni Paesi i videogiochi siano stati introdotti nel sistema educativo: in Germania molte scuole dell’infanzia usano delle applicazioni per imparare il tedesco, in Norvegia è stata sviluppata un’applicazione con il fine di imparare l’algebra e, nelle scuole secondarie, Minecraft viene usato per avvicinare i ragazzi all’arte e all’architettura.

In Italia, invece, alcuni insegnanti hanno introdotto i videogiochi nell’insegnamento, anche se in maniera più discreta. Utilizzare la tecnologia per stimolare l’apprendimento (soprattutto nei più giovani) potrebbe rivelarsi una strategia vincente che consenta di unire ulteriormente istruzione e divertimento.

I reali rischi dei videogiochi

I videogiochi, tuttavia, presentano anche dei rischi ed essi sono legati innanzitutto all’età dei videogiocatori. I bambini al di sotto dei sei anni, ad esempio, non sono capaci di pensare in modo astratto e un uso assiduo di videogiochi non adatti alla loro età potrebbe compromettere lo sviluppo della percezione dello spazio.

In Italia l’età indicata sulle confezioni dei videogiochi non è vincolante e pertanto il venditore non può rifiutarsi di vendere il prodotto qualora l’acquirente non abbia raggiunto l’età specificata dal PEGI (Pan European Game Information) e lo stesso vale per le applicazioni, il cui acquisto andrebbe sempre monitorato da un adulto.

La correlazione tra videogiochi e violenza, invece, è in parte giustificabile. La violenza presente in alcuni videogiochi ha un effetto maggiore rispetto a quella presente in televisione, complice il fattore dell’interattività. Tuttavia, una ricerca del 2014 a cura della Villanova University e della Rutgers University, ha dimostrato che esiste una correlazione inversa tra il numero di crimini commessi e le vendite di videogiochi violenti. Questa ricerca dimostra come questi ultimi possano funzionare come strumento catartico.
In un altro studio è emerso che, nonostante le conseguenze a lungo termine della fruizione di videogiochi violenti sia quasi assente, esistono correlazioni con i pensieri aggressivi.

Come trarre vantaggio dai videogiochi senza sfociare nell’abuso

Lungi da quello che si possa pensare, i videogiochi non causano dipendenza, ma il loro continuo utilizzo può diventare abuso, soprattutto nei giovani. Il rischio è che si perda il contatto con la realtà e che si diventi estranei della propria vita.

Il discorso dell’isolamento vale soprattutto per i videogiochi più eccitanti, soprattutto quando a usarli sono ragazzini arrabbiati con il mondo, animati dal disagio. Tale disagio viene ricercato nelle famiglie, che dovrebbero invece controllare i più giovani nelle loro attività, evitando qualsiasi tipo di abuso. Come detto in precedenza, sfogare la propria rabbia su qualcosa che non siano altre persone è giusto, purché questo venga fatto in maniera controllata.

I genitori spesso sono i primi responsabili delle problematiche dei propri figli rispetto ai videogiochi. Essi, spesso a causa di impegni estranei all’ambito familiare, decidono di “affidare” i propri figli allo schermo senza alcun tipo di limitazione.

Lo stesso discorso vale per i genitori eccessivamente apprensivi, che pur di tenere i propri figli sotto controllo preferiscono sostituire la loro realtà quotidiana con la realtà virtuale, compromettendo la capacità di sviluppo dei rapporti interpersonali. Purtroppo, vi è un crescente numero di giovani per i quali è difficile essere empatici o semplicemente instaurare rapporti di amicizia: è un ciclo senza fine in cui l’isolamento causa isolamento.
Rispetto a tali situazioni (critiche), gli esperti consigliano di intervenire in maniera tempestiva aumentando la quantità e la qualità del tempo da trascorrere con la famiglia. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, è sbagliato adottare le punizioni come soluzione primaria, in quanto esse potrebbero essere viste come una sfida e pertanto aumenterebbe il divario nel rapporto familiare. Inoltre, la mancanza di dialogo con i giovani potrebbe renderli ancora più introversi.

In sintesi possiamo affermare che il gioco, anche virtuale, è la migliore forma di apprendimento, ma bisogna trovare l’equilibrio tra l’attività ludica e gli impegni quotidiani.

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