Recensione Black Panther – La Marvel sorprende ancora

Il nuovo anno “supereroistico” è inaugurato dal misterioso quanto elegante Black Panther, tornato sulla scena per conquistarla. Non parliamo di certo di uno di quei supereroi noti al grande pubblico. Tuttavia il film è essenziale per inserire nell’universo cinematografico Marvel la popolazione del Wakanda e il suo paladino.

 La trama

Presentatoci già in Capitan America: Civil War, ecco riapparire il giovane principe T’Challa, orfano di padre dopo quanto accaduto nel sopracitato film. Il principe è di fatto il candidato principale per salire sul trono di Wakanda, immaginaria nazione nel continente africano. Vista dal mondo esterno come una terra isolata, in realtà Wakanda si è segretamente sviluppata grazie a una tecnologia avanzatissima, dovuta alla sensazionale presenza del vibranio, metallo già conosciuto e apprezzato in passato, in quanto materiale principale dello scudo di Capitan America. Saranno proprio i giacimenti di vibranio a destare l’interesse e le cospirazioni di due importanti quanto pericolosi nemici che T’Challa, indossando gli artigli di Black Panther, dovrà fronteggiare. La ricchezza del vibranio e la sua scoperta richiamerà l’attenzione di Ulysses Klaw, nemico storico del Wakanda, e T’Challa sarà impegnato nel recuperare le falle lasciate aperte dal padre, e non solo, in campo politico. È proprio dal passato del neo-nato Pantera Nera che vedrà la luce il più pericoloso dei due nemici che T’Challa dovrà affrontare nel corso del film.

Un nuovo stile Marvel

Il diciottesimo film del Marvel Cinematic Universe, affidato a Ryan Coogler, mostra subito la sua volontà di distaccarsi dallo stile eccessivamente comics e ironico portato nelle sale appena qualche mese fa da Taika Waititi con Thor: Ragnarok. Scelta saggia quanto necessaria, se si pensa che Black Panther fu ideato nel 1966, in piena fervenza politica, da Stan Lee e Jack Kirby. Esso, allora, per quanto ripetutamente paragonato al film Il Re Leone (il contesto africano non aiuta), è bensì più vicino alla linea registica del Thor di Kenneth Branagh per la struttura tipicamente shakespeariana.

Un film ambizioso

Coogler, tuttavia, non vuol tornare indietro, quanto rinnovare la tradizione. È così che Wakanda si fonde con l’universo Marvel, tra inseguimenti in auto e combattimenti degni della tecnologia di Tony Stark, e i riti tipicamente africani; il tutto intriso di musiche ibride tra hip-hop e tribale. È così che Coogler riesce ad inserire, all’interno del filone Marvel, una nuova prospettiva, degna dell’originale eroe che vi viene presentato. Non parliamo di un eroe qualunque, non è la classica storia di poteri ottenuti casualmente; siamo di fronte a una lunga e sensazionale tradizione di eroi scelti per la propria prestanza. T’Challa dimostra di meritare quel ruolo e quei super poteri dal primo all’ultimo minuto del film. Merita di essere il re dell’utopistica Wakanda e di poterne proteggere ed espandere gli orizzonti con gli artigli.

Il personaggio di T’Challa e il suo mondo

T’Challa, interpretato egregiamente da Chadwik Boseman, è un principe modello: valoroso, patriottico, astuto. La sua unica “pecca”, a detta del padre stesso, forse è l’essere troppo buono. Una bontà che lo porterà ad aver troppa fiducia verso chi non dovrebbe, ma che, comunque, lo farà crescere al punto da rivoluzionare la stessa politica di Wakanda. La sua forza più grande non è quella ottenuta dai superpoteri o dalla tuta che indossa, ma dalla possibilità di poter contare sulle persone giuste, le quali sanno dire la propria in ogni occasione e che faranno in modo da rendere la figura del buon T’Challa ancora più importante e regale.

I personaggi comprimari e gli antagonisti

Fantastiche le scelte del cast, da un ritrovato in casa Marvel Micheal B. Jordan, a una “nuovissima” Lupita Nyong’o, unica vera africana del cast. Non è il film del solo Black Panther, ma di tutto il Wakanda, un’intera popolazione in “guerra fredda” con il mondo dall’inizio dei tempi. Seppur inizialmente dissonante la presenza della CIA nel palese tentativo d’imporsi come una sorta di cura al tutto, l’impatto viene poi egregiamente ribaltato da un ottimo Martin Freeman nel ruolo di Everett Ross. In Black Panther i comprimari divengono quasi protagonisti, dall’intelligentissima sorella di T’Challa, Shuri (Letitia Wright), all’amata Nakia, interpretata dalla suddetta Lupita. Klaw (Andy Serkis) ed Erik Killmonger (Michael B. Jordan) sono due nemici con la “N” maiuscola, non solo per come bene sia stata disegnata la loro parte nel film, ma anche per le interpretazioni decisamente all’altezza del ruolo. Tutto ciò che gravita attorno a Chadwick e al suo alter-ego artigliato è ben assemblato e spiegato.

Piccola nota: l’incontro fra Andy Serkis e Martin Freeman sa tanto di un ritorno a “Lo Hobbit”.

 Un Supereroe Marvel diverso dai classici canoni

Il primo elogio va sicuramente a Stan Lee, il quale, ancora una volta, riesce a stupirci inserendo un nuovo pezzo del puzzle al suo Universo. Egli, difatti, creò il personaggio nello stesso anno della fondazione delle “Pantere Nere”, storica organizzazione rivoluzionaria afroamericana degli Stati Uniti d’America. Tuttavia, per quanto questo film total black sia stato ambientato nei nostri giorni, la situazione sociale non è di certo delle migliori. Black Panther, allora, sembra voler dare un vero e proprio schiaffo morale al contesto strettamente legato al razzismo, enfatizzando la necessità di far fronte comune per poter vivere in pace. Coogler riesce a far scorrere tutto ciò in modo piuttosto fluido, seppur con un inizio un po’ incerto, e prendendosi le dovute pause. Di colpi di scena sensazionali non ce ne sono, ma il film, per ciò che mostra, non ne necessita.

Si può allora affermare che, dopo dieci anni, si è finalmente arrivati alla terza fase del Marvel Cinematic Universe. Iniziato nell’ormai lontano 2008 da Iron Man, la Casa delle Idee ha di fatto creato un genere cinematografico a sé stante, che si sta evolvendo sempre di più. Black Panther ne è la più limpida dimostrazione.

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