Recensione: Misery di Stephen King

Misery è un romanzo di Stephen King pubblicato nel 1987. Considerato uno dei migliori libri del re del brivido, “Misery” continua ad affascinare i lettori di tutto il mondo.

La trama

Paul Sheldon è uno scrittore noto al pubblico per aver pubblicato la serie di romanzi rosa “Misery”. Nonostante la fama acquisita grazie al suo personaggio, Sheldon decide di non continuare a identificarsi con esso e conclude la serie “uccidendo” Misery.
Rintanato in un hotel, il protagonista si dedica alla stesura di un romanzo del tutto differente; dopo averlo concluso decide di partire all’avventura per inaugurare la sua nuova vita, ma una tempesta lo porta fuori strada e Sheldon si risveglia a casa di Annie Wilkes, un’ex infermiera professionale, nonché la sua “ammiratrice numero uno”.
Dopo la sensazione iniziale di sollievo, Paul scopre che la sua salvatrice nasconde un passato da serial killer. Tra terribili sevizie, Annie costringerà il protagonista a resuscitare Misery e a rinunciare per sempre al suo sogno.

Un nome, una garanzia

Nonostante l’assenza dell’elemento paranormale che contraddistingue le opere di Stephen King, “Misery” si può considerare uno dei capolavori dello scrittore del Maine, in cui l’orrore prende vita nella sua accezione più pura.
Lo scrittore riesce a materializzare le paure più intime di ognuno per mezzo di una situazione sorprendentemente verosimile, complessa nella sua semplicità, scarna nell’intreccio, ma allo stesso tempo ricca di descrizioni anche mediche, per le quali King si è rivolto come sempre a professionisti del campo. Nelle sue opere, infatti, King concentra le sue conoscenze e si affida ad altri per spaziare in ambiti che non gli appartengono, garantendo al suo pubblico dei romanzi di qualità in cui lo sfondo non perde di verosimiglianza seppur l’oggetto narrato potrebbe apparire lontano dal mondo reale.

Un romanzo claustrofobico

Come affermato in precedenza, “Misery” è un romanzo scarno nell’intreccio, ma ricco di descrizioni e caratterizzato dalla continua analisi della complessa psicologia dei personaggi. In questo modo, King offre al lettore un’opera ansiogena e claustrofobica senza ricorrere ad ambientazioni o situazioni eccessive: il genio di King sta proprio nell’essere riuscito a rendere avvincente la storia di un uomo costretto a letto, imprigionato in una fattoria isolata, in compagnia di una donna psicopatica e un maiale di nome… Misery.
Attraverso il solito linguaggio scorrevole e quasi colloquiale, Stephen King rende il lettore partecipe delle sofferenze del suo personaggio e gli permette di essere empatico nei suoi confronti. “Misery”, infatti, è scritto in terza persona, ma il punto di vista è quello di Paul Sheldon. Di tanto in tanto, King passa la parola al suo personaggio, costringendo il lettore a immedesimarsi, a sentire proprio il senso di impotenza che Sheldon prova e a risvegliare il senso di sopravvivenza che dimora, spesso assopito, in ognuno di noi.

Il potere del “devo”

“Misery” è pervaso da una tensione continua e crescente, dal momento che gli sfoghi di Annie diventano sempre meno prevedibili. A casa di Annie Wilkes la situazione non è mai tranquilla come potrebbe sembrare: l’instabilità mentale della donna è evidente e una splendida giornata di primavera potrebbe trasformarsi in una gelida notte invernale in pochi istanti.
“Misery” tiene incollati alle sue pagine, impazienti di sapere che cosa succederà dopo, governati dal “devo” di cui King, attraverso Paul Sheldon, parla nel romanzo. Il “devo” non è solo curiosità, ma necessità di continuare a vivere, che sia la vita propria o quella degli altri. Paul Sheldon diventa infatti la Sherazade di Annie e di se stesso, poiché entrambi iniziano a vivere per sapere che cosa accadrà a Misery. Quella che per Paul era iniziata come una tortura diventa la ragione e la causa stessa della sua vita.
Il “devo” è anche dipendenza, come quella che Paul Sheldon sviluppa durante il suo spiacevole soggiorno: la crudele infermiera somministra alla sua vittima dei farmaci a base di codeina, senza i quali per Paul è impossibile vivere. L’astinenza da codeina diventa per Paul un ulteriore motivo per rimanere con Annie e, leggendo tra le righe, ci sentiamo come lui quando ci ostiniamo a vivere momenti di svago che confondiamo con la felicità, per poi comprendere quanto sia illusorio il bene che ci trasmettono.

Il romanzo nel romanzo

L’opera che Paul Sheldon sta scrivendo diventa parte del romanzo di King e per questo “Misery” può essere visto come un romanzo… nel romanzo.
È possibile leggere alcune pagine dell’opera del protagonista come se a leggerle fosse Annie e Sheldon diventa anche la Sherazade del lettore, attento a riempire le gli spazi vuoti con le lettere mancanti (la macchina da scrivere che Annie Wilkes acquista per il suo prigioniero è rotta).
Le pagine del romanzo di Sheldon sono una metafora di quello che il protagonista vive e anche per questa ragione egli sente rafforzarsi il suo legame con Misery, che non è più solo il filo che collega Annie e Paul, ma diventa la vera protagonista del romanzo.
Nel corso dei mesi trascorsi a casa di Annie Wilkes, il protagonista affronta gli ordinari problemi del mestiere di scrittore e pertanto, dalla scelta di rendere il lettore partecipe della stesura dell’opera di Sheldon, si evince il desiderio di King di tracciare il confine tra le aspettative del lettore (impersonate da Annie Wilkes) e la realtà.

Non un semplice thriller

I personaggi di “Misery” sono caratterizzati da una psicologia complessa, egregiamente trattata da Stephen King.
Annie Wilkes non si può considerare semplicemente una psicopatica, in quanto tale definizione stereotiperebbe un personaggio dalle mille sfaccettature che alterna alcuni momenti di lucidità ad altri di follia, tanto da rendere impossibile al lettore provare un odio categorico nei suoi confronti. Le informazioni su Annie ci vengono fornite un po’ per volta e mai per intero e quello che pensa mentre compie le sue efferatezze rimane un mistero, ma, come Paul, il lettore finisce per farsi bastare quello che sa senza chiedere di più.
I flashback di Paul Sheldon rendono perfettamente la confusione che il protagonista prova rispetto alla sua situazione. Inoltre, lo scrittore inizia a mettere seriamente in dubbio se stesso e a riconsiderare i propri sogni e le proprie priorità, fino ad arrivare a un finale tutt’altro che scontato, come se il suo rapimento fosse stato architettato dal fato nei panni di Annie Wilkes.

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