Made in Abyss: un anime da recuperare

Tratto dall’omonimo manga di Akihito Tsukushi, Made in Abyss è stato uno degli anime più seguiti e apprezzati della stagione estiva 2017. Dopo l’annuncio ufficiale di due film riassuntivi della serie, che saranno trasmessi in Giappone il 4 e il 16 gennaio del prossimo anno, è giunto il momento di presentare l’adattamento realizzato da Kinema Citrus e distribuito in Italia su VVVVID con i sottotitoli curati dalla Dynit. Per chi, alla fine di questo articolo, fosse interessato a proseguire con la lettura del manga, comunichiamo che la casa editrice J-Pop ne ha recentemente iniziato la pubblicazione, giunta al quarto volume.

La trama è apparentemente molto semplice. Circa duemila anni prima che la nostra storia ebbe inizio, un’enorme voragine, si aprì in modo tanto misterioso quanto improvviso. Da allora, sempre più persone sono state irrimediabilmente attratte dai numerosi cimeli che ne provengono, fino a dare vita a una città sull’orlo stesso di quello che è stato chiamato l’Abisso. Orth, questo il nome dell’insediamento, è perlopiù abitata da cacciatori di tesori che periodicamente si calano nell’Abisso per mapparlo e riportarne manufatti di inestimabile valore. Gli esploratori sono riuniti in una gerarchia ufficiale che ne distingue il grado in base al colore del fischietto di cui ognuno è dotato.

Riko è una ragazzina di dodici anni, figlia del celeberrimo fischietto bianco Lyza la sterminatrice. In seguito alla scomparsa della madre, vive nell’orfanotrofio Belchero, che impiega i bambini ospitati come fischietti rossi, il grado più basso della gerarchia di esploratori. Affascinata dall’Abisso e da tutto ciò che ne concerne, Riko svolge con molto entusiasmo e un pizzico di incoscienza il proprio lavoro, fino a che, durante un’esplorazione di routine, viene attaccata da un mostro che non dovrebbe risalire fino a uno strato tanto alto della voragine.

A salvarla da una situazione ormai disperata è Reg, un robot dall’aspetto umano e dalle origini misteriose. Svenuto in seguito allo scontro e privo di ricordi sul suo passato, Reg viene recuperato da Riko e trasportato in gran segreto fino all’orfanotrofio. Grazie a uno stratagemma tanto ingenuo quanto di successo, la ragazza riesce a farlo adottare dalla struttura, celandone a tutti la vera identità. La vita dei due procede tranquillamente per qualche tempo, fino a quando il ritrovamento del fischietto appartenuto alla madre di Riko e di una sua lettera spingerà la bambina e il suo nuovo amico ad intraprendere un lungo viaggio nelle profondità dell’Abisso.

Le premesse e lo stile infantile del character design non devono trarre in inganno: Made in Abyss non è affatto un anime per bambini. Al contrario, dietro un’iniziale e apparente leggerezza si celano temi profondi e scene commoventi e a volte poco adatte a un pubblico molto sensibile. La storia porta a domande fondamentali, come se sia meglio vivere soffrendo o morire dignitosamente, e a valutare quanto si sia disposti a sacrificare per soddisfare l’ambizione e raggiungere i propri scopi.

Altro aspetto fondamentale di questo anime è il mistero. Più si prosegue con la trama, più domande vengono sollevate riguardo agli aspetti fondamentali del mondo in cui vivono i protagonisti. A cominciare dall’Abisso stesso, la cui natura continua a sfuggire dopo quasi duemila anni di studi. Alcuni di questi interrogativi riceveranno una soluzione in questi primi tredici episodi, ma per molti altri sarà necessario attendere la seconda stagione. Di quest’ultima è già stata annunciata la produzione, ma mancano date ufficiali. L’imminente uscita dei due film riassuntivi, tuttavia, induce a nutrire buone speranze.

I protagonisti

Protagonista femminile di Made in Abyss è Riko, una ragazza spensierata e intraprendente, mossa da un irrefrenabile desiderio di esplorare l’Abisso con cui è ogni giorno a contatto. A muoverla è principalmente la curiosità verso l’immane voragine su cui si affaccia la sua città. Il rinvenimento del fischietto bianco appartenuto alla madre finisce dunque con il sembrare quasi una scusa, un pretesto per dedicarsi finalmente all’ambizione di una vita. Le sue scarse doti fisico-atletiche sono ampiamente compensate dalla viva intelligenza e da un’ostinazione e una perseveranza invidiabili.

La forza psicologica di Riko, tuttavia, da sola non basta per raggiungere il fondo dell’Abisso. Per farlo sono necessarie anche le incredibili abilità di Reg. Si tratta, è vero, di un robot, ma il personaggio è tanto ben caratterizzato che risulta impossibile pensarlo come diverso, a livello emotivo, da un essere umano. Il ragazzo è in grado di allungare le braccia fino a distanze incredibili e di emettere un potentissimo raggio di energia che la sua amica identifica come cannone crematorio. A livello fisico, Reg è quasi imbattibile, ma non riuscirebbe a proseguire senza le geniali intuizioni e l’incosciente coraggio di Riko.

L’interdipendenza dei protagonisti è un aspetto fondamentale per quanto riguarda la trama e non solo. I pregi e difetti dei due ragazzi sono resi in maniera tanto realistica e verosimile da contribuire in modo decisivo all’identificazione e alla costruzione di un legame da parte dello spettatore. Come accadrebbe con veri ragazzini di quell’età, Riko e Reg non sempre prendono la decisione giusta e non sempre agiscono nel migliore dei modi. La forte amicizia che li lega e, a volte, il provvidenziale intervento di qualche altro personaggio più maturo riescono, tuttavia, a farli sopravvivere a qualunque tipo di difficoltà.

La storia segue le avventure dei protagonisti, ma i personaggi secondari non vengono affatto trascurati. Anch’essi vengono caratterizzati e curati nei minimi dettagli, raggiungendo punte di verosimiglianza che riescono a portare gli spettatori sull’orlo della commozione. Senza voler rovinare l’esperienza e la sorpresa a chi ancora non avesse visto la serie, per il momento basti dire che figure come quelle di Ozen e di Nanachi non possono lasciare indifferenti.

In questa, seppur breve, rassegna dei personaggi è stato volutamente lasciato per ultimo il vero protagonista di Made in Abyss, l’Abisso. Più di un semplice luogo, esso è il centro di gravità attorno al quale tutto ruota, il motore immobile che dà avvio alla trama e governa le vicende di tutti i personaggi. Entrarvi non è, di per sé, un problema. I rischi si manifestano solo al momento della risalita. Più si scende e più gli effetti collaterali dovuti al tornare indietro diventano gravi. Si passa dalla nausea del primo strato a emorragie interne tanto violente da impedire a chiunque di risalire dal sesto.

Eppure, non sono pochi gli esploratori che decidono di abbandonare il mondo di superficie per trasferirsi in modo definitivo lungo i margini della voragine. Si tratta di un luogo misterioso, minaccioso ma affascinante, potenzialmente letale ma ormai indispensabile per la vita a Orth. L’attrazione che esercita sugli esploratori, e su Riko in particolare, ha un che di magico, ma può portare a comportamenti autodistruttivi.

Il comparto tecnico

La natura ambigua e ambivalente dell’Abisso  viene magistralmente messa in mostra tramite il design dei fondali. L’atmosfera, almeno nei primi strati, è fiabesca. Fa pensare a un mondo nuovo e incontaminato, ancora tutto da esplorare. In poche parole, lo spazio perfetto per un’avventura. I pericoli non mancano (basti pensare al mostro del primo episodio), ma sono distanti e quasi irreali, mai presentati come concrete minacce. La discesa attraverso il primo strato somiglia più ad un pic-nic nel bosco che a una missione dall’esito a dir poco incerto.

Proseguendo, tuttavia, le atmosfere da Studio Ghibli lasciano il posto a paesaggi decisamente più inquietanti, bui e tenebrosi. Il brusco cambiamento del mood viene coerentemente spiegato con la difficoltà che la luce incontra nel penetrare nelle viscere della terra, ma è impossibile separarlo dalla sua funzione narrativa. Insieme al paesaggio, infatti, si incupisce anche la trama. I mostri diventano sempre più frequenti, e non sempre hanno l’aspetto di creature fantastiche. La spensieratezza infantile che, giustamente, caratterizza Riko e Reg, lascia il posto a pensieri più profondi e inquietanti. Si potrebbe quasi pensare che lo stile delle animazioni evolva insieme alla maturazione dei protagonisti.

Ad agevolare l’immedesimazione dello spettatore e la sua willing suspension of disbelief contribuisce in maniera non indifferente il comparto sonoro nel suo complesso. La bravura dei doppiatori è fuori di discussione, anche in scene in cui il pericolo di passare dal drammatico al ridicolo esagerato era più che concreto.

Altrettanto appropriata è la colonna sonora composta dall’australiano Kevin Penkin, capace di sottolineare ed enfatizzare ogni tipo di emozione. Rischiosa, ma dal buon esito, la scelta di far cantare le sigle di apertura (Deep in Abyss) e chiusura (Tabi no hidarite, saihate no migite) dalle doppiatrici dei personaggi principali. Si tratta di una prassi ormai non più isolata, ma che, se realizzata in maniera corretta, contribuisce a conferire carattere alla serie. Ne emerge infatti la spensieratezza di Riko e Reg, accecati dal fascino dell’avventura e diretti verso il fondo dell’Abisso.

Il significato metaforico

L’Abisso non è solo un luogo reale, esplorabile per quanto pericoloso, ma anche una grande metafora. Una metafora dell’avventura e della sete di conoscenza, prima di tutto. Molti dei personaggi coinvolti sacrificano, si potrebbe dire, tutta la propria vita per dedicarsi all’esplorazione, consapevoli che, una volta superato il limite, ogni possibilità di ritorno è preclusa. Emblema di questa inestinguibile brama di conoscenza, disposta a rinunciare a tutto e a superare ogni limite, è il personaggio di Bondrewd. Appena introdotto in questa serie, si rivelerà con ogni probabilità centrale nella successiva.

Ma una seconda associazione, ben più cupa della precedente, viene esplicitata nel corso dell’anime. La voce narrante enuncia infatti:

L’ambizione, più potente del veleno e più profonda della malattia, rapisce gli uomini. Una volta attecchita non vi è scampo, proprio come una maledizione, e porta gli avventurieri ad avanzare, gettandosi a capofitto. Per loro, una vita priva di ambizione è ben più temibile della morte.

La frase è già sufficientemente esplicita. Ci permettiamo solo di sottolineare come malattia e veleno siano due presenze associate all’Abisso e alla sua, appunto, maledizione. Anche l’immagine del gettarsi a capofitto richiama l’inesorabile discesa verso il baratro a cui Riko e Reg non sono i primi a dedicarsi.

Un’ultima riflessione va alle suggestioni che un’opera del genere non può non generare negli spettatori europei. La prima è sicuramente quella di Viaggio al centro della Terra, di Jules Verne. In entrambi i casi, il viaggio dei protagonisti inizia dal ritrovamento di una lettera, e comuni sono anche le meraviglie e i pericoli che costellano la strada verso le profondità. Altra strana somiglianza, anche nella struttura fisica dell’Abisso, è quella con l’Inferno di Dante. Come nella Divina Commedia, più si scende, più l’ambiente peggiora. Anche l’accresciuta gravità dei peccati ricorda i sintomi sempre peggiori della risalita, che arrivano infine a un punto di non ritorno. Si tratterà sicuramente di sovra-interpretazioni, specialmente nel secondo caso, ma ampliare un poco la propria cultura generale partendo dal mondo nerd non può che essere un bene.

One Comments

  • Cammie 24 / 11 / 2018 Reply

    Made in Abyss un capolavoro, che riesce a far vivere sullo schermo il suo mondo e i suoi personaggi, rendendoli memorabili

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