Intervista a Simone Dini Gandini

In occasione della quarta edizione del Festival del Nerd abbiamo intervistato Simone Dini Gandini per conoscere meglio i dettagli sulla sua carriera, che passa dalla narrativa per bambini al teatro.

– Quando e come hai deciso di volerti dedicare alla narrativa per ragazzi?

È successo un po’ per caso, come la stragrande maggioranza delle cose che mi sono capitate negli ultimi anni. Se qualcuno mi avesse detto che nel 2018 sarei stato qui a parlare dei miei libri per ragazzi, l’avrei considerato matto. Non avrei mai pensato di fare questo mestiere nella mia vita. Mi ci sono trovato, come detto, per caso: ho scritto la mia prima opera mentre stavo preparando la tesi di laurea; in quel periodo mi ero appassionato a Rodari, e così ho deciso di scrivere una raccolta di filastrocche tratte dal bestiario di Brunetto Latini, il maestro di Dante Alighieri. In maniera piuttosto sorprendente è stata subito accettata da un editore, facendo sì che mi trovassi catapultato in un nuovo mondo dove non conoscevo nessuno. Da quel momento ho realizzato altri progetti, ed è nata anche la mia passione per il teatro.

– Quando hai sentito parlare per la prima volta di Gino Bartali?

L’idea de “La bicicletta di Bartali” è nata il 22 Settembre del 2013. Mi trovavo con due miei amici d’infanzia al bar, e, come i classici italiani medi, ci passavamo La Gazzetta dello Sport. A un certo punto ho visto una paginata intera dedicata a Gino Bartali, e, come avrebbe fatto chiunque, mi sono chiesto perché si parlasse di lui nel 2013. Leggendo, ho scoperto che quelli fossero i giorni in cui gli era stata conferita l’onorificenza come “Giusto tra le nazioni”.
In realtà conoscevo già Gino Bartali di nome, sia perché toscano, sia perché aveva la casa al mare dove abito, per cui ogni persona che conoscevo aveva un aneddoto legato a lui.
Il libro, allora, è nato in una data precisa, ma avevo già dei ricordi legati a Gino Bartali risalenti a quando ero bambino.

– Oltre a Bartali, hai altri “eroi quotidiani” in particolare a cui ispirarti?

Una volta un insegnante a Brescia, mentre raccontavo del mio libro durante il periodo dedicato alla Giornata della Memoria, mi ha ripreso, dicendomi che spiegavo in modo sbagliato la storia, poiché sembrava che io volessi intendere che, per essere eroi, bisogna salvare la vita di ottocento persone.
In realtà, io credo che tutti coloro che si impegnano nel loro piccolo per rendere questo mondo migliore siano considerabili “eroi di ciccia”, non solo quelli esistenti nella mente di un romanziere, di uno scrittore o di un regista; sono coloro i quali, per esempio, vanno in bicicletta piuttosto che in auto, o che fanno la raccolta differenziata nel modo corretto. Sono cose in apparenza piccole, ma che fanno la differenza, anche se il mondo sembra andare in direzione totalmente opposta.

– Quanto di te c’è nel merlo ribelle e quanto in Tizio, Caio e Sempronio?

In realtà io sono tutti i personaggi, che siano essi buoni, cattivi o neutrali; ma, cosa più importante, l’ambientazione della storia rappresenta casa mia: dal giardino, al parco di Migliarino a due metri di distanza, al canale della Bufalina dove vado sempre in giro con i miei amici.
Mi rivedo sicuramente nel merlo ribelle in quanto, per esempio, anch’io sono vegetariano, così come mi rivedo in Tizio, Caio e Sempronio, anche se in loro ho voluto riportare di più il sentire comune. Non ho voluto creare, difatti, dei personaggi per i quali parteggiare, ma riflettere, attraverso di loro, quello che succede realmente tutti i giorni, come se fosse un fatto di cronaca. Per il resto, cerco sempre di mettere un po’ di me, come detto, in tutti i personaggi, altrimenti finirebbero per risultare poco credibili.

– Oltre a scrivere libri, prendi parte a molti workshop con i bambini. C’è un evento in particolare che ti è rimasto impresso?

Sicuramente il mio primo incontro a Brescia, dove ormai vado da tre anni e dove andrò anche il prossimo anno, sempre nel periodo della Giornata della Memoria.
La prima volta sono andato nell’auditorium di una scuola per un reading serale. Arrivato lì, ho trovato la sala pienissima: vi erano circa trecento persone, e non c’erano più sedie, quindi molti erano in piedi. La prima cosa che chiesi, allora, fu se avessero sbagliato sala, dicendo che se pensavano che fossi un altro e volessero andar via, non sarebbe stato un problema.
Quel giorno sono rimasto davvero senza parole, anche se so benissimo che ciò che fa la differenza non è la persona che racconta, bensì la storia che si racconta, oltre a chi organizza gli eventi; chi riesce a coinvolgere le persone e ad appassionarle, perché non è facile far sì che una persona si muova per seguire un evento o scelga di partecipare a un incontro anziché un altro.

– Se fossi un supereroe, quale superpotere avresti?

Anche se può sembrare un superpotere “banale”, mi piacerebbe tantissimo volare. Nella stragrande maggioranza dei miei libri e dei miei spettacoli, infatti, ci sono sempre degli uccelli, come l’allodola nello spettacolo “L’incredibile giornata di Federico e l’allodola”, o come quasi tutti i personaggi ne “Il merlo ribelle e l’ibis di Palmira”.
Altrimenti, mi piacerebbe essere invisibile; non per ascoltare i discorsi degli altri o spettegolare, ma semplicemente per essere invisibile.
Inoltre, essendo gracilino, ammetto che la super forza non mi dispiacerebbe (ride).

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